Dottor Marco Di Marcello
Medico Veterinario
Quando si parla genericamente di cardiopatie si sta discutendo di una grande quantità di situazioni, più o meno gravi o complesse, che possono coinvolgere i nostri amici a quattro zampe. Una cardiopatia, infatti, è una malattia che colpisce il cuore. Questo però è un organo complesso, e qualunque sua componente può essere in modi diversi colpita da patologia. Il termine cardiopatia è quindi estremamente generico e comprende una gran quantità di patologie anche molto diverse tra loro. Per capire un po’ meglio quali siano le patologie cardiache di maggiore interesse e quali effetti abbiano sulla salute dei nostri animali quindi, è bene fare una rapida descrizione di come è fatto (anatomia) e di come funziona (fisiologia) un cuore normale.
Il cuore di un cane è estremamente simile a quello di un essere umano. In particolare è normalmente composto da quattro camere (due atrii e due ventricoli) e quattro valvole (due atrioventricolari e due semilunari). Le atrioventricolari prendono il nome di mitrale (quella che si trova tra atrio e ventricolo sinistro) e tricuspide (quella che divide le corrispondenti camere di destra). Il loro scopo è quello di consentire il passaggio del sangue solamente dagli atri ai ventricoli e non viceversa. La fase cardiaca in cui avviene questo flusso prende il nome di diastole, ed è in questo momento che i ventricoli si riempiono di sangue. Le valvole semilunari, invece, prendono il nome di aortica e polmonare. Anche queste valvole hanno lo scopo di permettere il passaggio del sangue in un senso solo; questa volta, però, si tratta del sangue che, quando i ventricoli si contraggono, viene espulso ed immesso nella circolazione. Attraverso la valvola aortica passa il sangue in uscita dal ventricolo sinistro e che è diretto in tutto l’organismo, attraverso la valvola polmonare, invece, transita il sangue in uscita dal ventricolo destro e che è diretto ai polmoni, dove potrà arricchirsi di ossigeno ed espellere l’anidride carbonica. La fase cardiaca durante la quale i ventricoli si contraggono ed il sangue viene immesso nelle due circolazioni prende il nome di sistole. In condizioni normali, dunque, il sangue venoso che ritorna al cuore dopo aver ossigenato l’intero organismo entra nell’atrio destro attraverso le vene cave. Da questo, durante la diastole, passa nel ventricolo destro attraverso la valvola tricuspide, per venire poi espulso attraverso la valvola polmonare ed andare ad ossigenarsi nei polmoni. Da qui, attraverso le vene polmonari, torna al cuore, ed in particolare entra nell’atrio sinistro e successivamente nel ventricolo sinistro da cui, attraverso la valvola aortica, viene nuovamente immesso, carico di ossigeno, nella circolazione sistemica. In un organismo normale tutte le valvole funzionano correttamente e consentono il passaggio del sangue in un’unica direzione, e tutte le camere cardiache si contraggono efficacemente, garantendo un ottimale afflusso di sangue a tutto l’organismo. Le due circolazioni (polmonare e sistemica) sono perfettamente separate tra loro, in modo che il sangue arterioso (ricco di ossigeno) e quello venoso (ricco di anidride carbonica) non possano mai mescolarsi.
La contrazione delle camere cardiache avviene grazie alle loro pareti, che sono composte di un particolare tipo di tessuto muscolare che prende il nome di miocardio. Il miocardio si contrae grazie ad uno stimolo elettrico, che è alla base della regolarità del battito cardiaco e che viene autonomamente adattato alle necessità. La produzione dell’impulso elettrico avviene in un piccolo gruppo di cellule, dette pacemaker, che si trova nell’atrio destro. Da qui, attraverso il sistema di conduzione, lo stimolo viene portato a tutti i distretti cardiaci e provoca la contrazione, con un sincronismo perfetto, di tutte le cellule muscolari che compongono il miocardio.
Il buon funzionamento dell’apparato cardiocircolatorio di un animale, quindi, richiede che tutte le strutture fino ad ora descritte (miocardio, sistema di conduzione, valvole) siano correttamente conformate e lavorino di concerto. Un’anomalia a carico di una o più di queste strutture comporta l’insorgenza di una cardiopatia. Intuitivamente, quindi, potremmo trovarci di fronte a:
– malattie del miocardio (miocardiopatie);
– delle valvole (valvulopatie);
– del sistema di produzione e conduzione dello stimolo elettrico (disturbi del ritmo, aritmie).
Questa prima classificazione, tuttavia, da sola non dice niente sull’origine della malattia, che potrebbe essere già presente alla nascita (cardiopatia congenita oppure svilupparsi nel corso della vita dell’animale (cardiopatia acquisita):
Una malattia congenita, quindi, dipende da una malformazione o da un difetto di uno o più componenti dell’apparato cardiocircolatorio, mentre la malattia acquisita si manifesta nel corso degli anni su un sistema cardiovascolare precedentemente sano. E’ necessario fare un’ulteriore distinzione circa la possibilità che una malattia sia ereditaria, cioè che possa essere trasmessa per via genetica dai genitori alla prole. Molte volte esiste un certo grado di confusione circa i termini congenito ed ereditario, che tendono ad essere spesso confusi tra loro; non è sempre vero, invece, che una malattia congenita sia anche ereditaria e viceversa. La reale ereditarietà delle cardiopatie congenite, in effetti, è stata dimostrata in via definitiva solo per alcune malattie e solo in alcune razze (ad esempio la displasia della valvola tricuspide nel Labrador; il difetto del setto interventricolare nello Springer Spaniel Inglese o la pervietà del dotto arterioso nel Barbone), anche se esistono sospetti molto fondati, ma non ancora scientificamente confermati, per un gran numero di altre razze e patologie. Esistono al contrario malattie presenti alla nascita che non manifestano caratteri suggestivi di ereditarietà: in questo caso possono essere determinate da fattori casuali, come l’esposizione della madre in corso di gravidanza a determinate sostanze tossiche oppure a malattie prevalentemente di origine virale.
Paradossalmente, anche le malattie acquisite possono essere ereditarie. In questo caso la situazione è un po’ più complicata, perché il soggetto nasce sano ma con la predisposizione a sviluppare una certa malattia nel corso della propria vita: un esempio classico di cardiopatia acquisita con carattere di ereditarietà è la miocardiopatia dilatativa, dimostrata ereditaria (sia pure con caratteristiche diverse) sia per l’Alano che per il Dobermann.
Mentre la corretta e tempestiva identificazione di una cardiopatia, indipendentemente dalle modalità con cui si verifica, è fondamentale per fornire la giusta terapia al soggetto malato, individuare un soggetto colpito da una malattia ereditaria significa non solo poterlo (se possibile) curare efficacemente, ma anche cercare di limitare la trasmissione della malattia alla discendenza, operando anche a salvaguardia della salute della razza. Per poter ottenere questo obiettivo però è essenziale che il soggetto colpito da una cardiopatia ereditaria sia identificato precocemente al fine di poterlo escludere dalla riproduzione in tempo utile. E’ quindi opportuno e assai importante che, prima di essere utilizzato come riproduttore, il nostro cane venga opportunamente esaminato (sia tramite una visita clinica che, se necessario, tramite indagini più approfondite) e dichiarato esente da malattie potenzialmente trasmissibili. Sia che si tratti di forme congenite che acquisite, una caratteristica interessante, e per certi versi anche preoccupante, delle malattie del cuore è che non sempre provocano dei sintomi. L’apparato cardiocircolatorio, infatti, è strutturato in modo da cercare di garantire il giusto apporto di ossigeno e sostanze nutritive all’organismo anche nel caso in cui una o più delle sue componenti non funzioni correttamente. Quando siamo in presenza di una malattia cardiaca che ancora non provoca sintomi, si parla di malattia compensata. Lo scompenso cardiaco avviene, invece, quando la malattia sottostante è abbastanza grave da provocare la comparsa di sintomatologia. Questo aspetto, naturalmente, è positivo se consideriamo che un organismo può continuare a vivere nonostante una disfunzione cardiaca; d’altra parte ci fa anche capire come non sia sufficiente vedere un cane che vive e gioca normalmente per permetterci di escludere che sia affetto da una qualche cardiopatia. In quest’ambito, per fortuna, spesso esistono dei rilievi clinici che consentono ad una persona esperta di identificare o anche solo sospettare la presenza di una malattia del cuore. Il veterinario che visita un animale, anche nel caso di una semplice vaccinazione, generalmente dedica una parte del suo esame all’apparato cardiocircolatorio: valutazione delle mucose, palpazione del polso ed ascoltazione del cuore ne sono parti fondamentali. Queste semplici manovre, se eseguite correttamente, permettono di identificare una gran quantità di disturbi cardiaci.
Ma quali sono le patologie cardiache di maggiore interesse in medicina veterinaria? In altre parole, quali sono le malattie che più frequentemente colpiscono i nostri animali?
La cardiopatia in assoluto più diffusa nella specie canina è la cosiddetta endocardiosi o degenerazione mixoide, malattia valvolare che colpisce le valvole atrioventricolari. Si tratta di una forma (acquisita) che compare in età variabile ma soprattutto in soggetti anziani, che colpisce praticamente tutte le razze ma che presenta una diffusione maggiore solo in alcune (ad esempio Cavalier King Charles Spaniel). La causa primaria di questa condizione è ancora oggetto di discussione, ma molto si sa su ciò che avviene quando un cane viene colpito da questa malattia. La degenerazione che colpisce le valvole ne provoca una complessa distorsione morfologica che ne comporta a sua volta l’imperfetta chiusura. Di conseguenza, quando i ventricoli si contraggono nel corso della sistole, solo una parte del sangue in essi contenuto verrà correttamente espulso attraverso le valvole semilunari; la parte rimanente, invece, tornerà nell’atrio di provenienza attraverso la valvola non perfettamente funzionante. Questa condizione è quindi nota con il nome di insufficienza valvolare. L’insufficienza mitralica è la più diffusa, seguita da quella che coinvolge entrambe le valvole. Una piccola percentuale di soggetti è colpita dalla forma puramente tricuspidale. Quale che sia il distretto interessato, la malattia valvolare rappresenta circa il 75% delle cardiopatie del cane.
Nella sua forma classica, coinvolgente principalmente la valvola mitrale, l’endocardiosi comporta la formazione di edema polmonare (accumulo di liquido nei polmoni) che a sua volta comporta sintomi prevalentemente respiratori. Sempre tra le malattie acquisite, la seconda come frequenza è rappresentata, invece, dalla miocardiopatia dilatativa: si tratta di una malattia che colpisce la muscolatura cardiaca (il miocardio), impedendone il corretto funzionamento. Le camere cardiache (soprattutto il ventricolo sinistro) tendono in questo caso a contrarsi sempre meno efficacemente, provocando una riduzione della quantità di sangue immessa in circolo. A questa fase segue una progressiva dilatazione delle camere cardiache, al punto che il cuore colpito da questa patologia si presenta, di solito, enormemente dilatato e con una contrattilità molto ridotta. Esistono diverse cause che possono provocare questa malattia; un esempio sono alcuni farmaci (per lo più chemioterapici) che posseggono un’azione tossica nei confronti delle cellule miocardiche; tuttavia i protocolli chemioterapici attualmente in uso prevedono questa eventualità e di conseguenza si fa in modo di non raggiungere mai la dose tossica. Anche alcuni tipi di aritmia, che provocano tachicardia prolungata, possono provocare forme simili alla miocardiopatia dilatativa, ed anche malattie endocrine come l’ipotiroidismo. La forma, però, più caratteristica è quella cosiddetta primaria o idiopatica, in cui la riduzione della contrattilità e la dilatazione delle camere avvengono senza alcuna causa apparente. In questo caso si tratta di malattie degenerative che colpiscono direttamente le cellule miocardiche. Alcune razze sono più colpite di altre, ed in particolare spiccano i Dobermann e gli Alani. Soprattutto nel caso in cui si tratti di forme idiopatiche, le miocardiopatie dilatative sono malattie molto gravi, che spesso non consentono di avere aspettative di vita molto prolungate. In alcune razze e nell’uomo queste malattie sono familiari, nel senso che un figlio di un soggetto malato (anche prima che questo manifesti la malattia conclamata) avrà maggiori possibilità di ammalarsi a sua volta. Come già accennato in precedenza, sarebbe quindi molto importante identificare precocemente i soggetti malati; purtroppo però la miocardiopatia dilatativa ha proprio la caratteristica di rimanere silente (preclinica) anche per lunghi periodi di tempo: in questo caso, anche una visita clinica attenta e completa spesso non fornisce nessun indizio e l’unico sistema per identificare la malattia in fase iniziale è l’ecocardiografia. Una forma del tutto diversa di miocardiopatia è quella ipertrofica, molto rara nel cane ma che rappresenta la più comune cardiopatia acquisita del gatto.
In questo caso, sempre a causa di una condizione genetica, le pareti del ventricolo sinistro aumentano gradualmente il loro spessore in modo incontrollato. La contrattilità rimane conservata fino alle fasi più avanzate della malattia, tuttavia un ventricolo ipertrofico perde gran parte della sua “elasticità” e di conseguenza la capacità di riempirsi correttamente durante la fase diastolica. Il meccanismo alla base della malattia è quindi meno intuitivo rispetto a quello della miocardiopatia dilatativa, in cui il cuore semplicemente non è più in grado di contrarsi adeguatamente; in questo caso il deficit è invece diastolico: il ventricolo non si riempie più in modo normale e quindi anche la successiva sistole ne risulterà alterata. Inoltre, il difficoltoso riempimento del ventricolo comporta un graduale aumento della pressione nell’atrio sinistro, situazione che è alla base della sintomatologia, prevalentemente respiratoria, che spesso gli animali malati manifestano. Anche in questo caso la malattia è genetica e trasmissibile, e l’identificazione di un soggetto “portatore” potrebbe essere utile ai fini della sua esclusione dalla riproduzione; purtroppo, come nel caso della miocardiopatia dilatativa, l’identificazione di un gatto asintomatico richiede spesso un esame ecocardiografico, in quanto i rilievi clinici potrebbero essere del tutto assenti. Esistono, in questo caso, anche dei test genetici che, analizzando il DNA di un animale, sono utili al fine di stabilire se questo possa essere malato o meno.
Le cardiopatie congenite di solito sono già presenti nel cucciolo appena nato, anche se magari necessitano del raggiungimento del completo sviluppo prima di assumere il loro aspetto definitivo.
Quelle di più frequente riscontro nel cane sono tre: stenosi subaortica, stenosi polmonare e pervietà del dotto arterioso. La stenosi subaortica è provocata da un restringimento localizzato nel ventricolo sinistro subito prima della valvola aortica, a livello del cosiddetto tratto di efflusso. Il sangue in uscita dal ventricolo sinistro deve obbligatoriamente passarvi attraverso per essere immesso nella circolazione. Se il transito viene reso difficile da un restringimento, si potrà assistere ad una riduzione della pressione arteriosa e ad un corrispondente aumento della pressione all’interno del ventricolo sinistro. A lungo andare, soprattutto se la stenosi è grave, il ventricolo sinistro, sottoposto ad un lavoro eccessivo a causa dell’elevata pressione che deve sviluppare, ne risulterà danneggiato. I cani colpiti da questa malattia possono per fortuna essere identificati (per lo meno come sospetto) grazie ad un caratteristico soffio cardiaco che può essere ascoltato dal veterinario durante una normale visita; un esame ecocardiografico potrà invece identificare correttamente la malattia e valutarne la gravità. In effetti, cani colpiti da forme lievi possono vivere tutta la loro vita in maniera quasi del tutto normale, mentre cani colpiti da forme moderate e soprattutto gravi avranno maggiori possibilità di manifestare sintomi anche gravi. Si tratta di una malattia la cui origine genetica e trasmissibile è stata accertata in diverse razze, e che quindi ancora una volta merita di essere identificata precocemente sia per permettere di curare al meglio il soggetto malato, sia per evitare che possa essere trasmessa alla prole. Le ultime due patologie di cui tratteremo sono particolarmente interessanti in quanto, tra quelle fino ad ora descritte, sono quelle che hanno maggiori possibilità di essere curate efficacemente.
La stenosi polmonare presenta caratteristiche simili alla corrispondente stenosi aortica. Le differenze sono che viene colpito il cuore destro e che il restringimento non coinvolge il tratto di efflusso (quello subito a monte della valvola), ma proprio la valvola stessa che, malformata, non è in grado di aprirsi correttamente al passaggio del sangue, provocando l’ostacolo al flusso. Questa situazione, tuttavia, da un certo punto di vista può avere dei riscontri positivi, dal momento che la localizzazione della stenosi la rende maggiormente aggredibile da un punto di vista chirurgico. Esistono, e sono ormai consolidate, delle tecniche mininvasive (cardiologia interventistica) che consistono nell’introduzione di un catetere apposito tramite una vena (normalmente la giugulare o la femorale) fino a raggiungere il luogo della stenosi. La valvola stenotica viene quindi dilatata mediante il gonfiaggio di un pallone di diametro adatto, comportandone l’apertura forzata. In molti casi, questa tecnica consente di ottenere una riduzione della gravità della malattia tale da garantire un deciso prolungamento delle aspettative di vita se non una guarigione quasi completa. Sia pure in modo diverso, anche la pervietà del dotto arterioso (detta anche dotto arterioso pervio o PDA) è una malattia cardiaca congenita con ampie possibilità di terapia. Il dotto arterioso, o dotto di Botallo, è un vaso che esiste normalmente durante lo sviluppo del feto, e che mette in comunicazione l’arteria aorta con l’arteria polmonare. Alla nascita questa struttura deve però chiudersi, al fine di separare completamente le due circolazioni. In alcuni casi questo non avviene, ed il dotto arterioso rimane aperto (con differenti caratteri di dimensione e quindi di gravità). Le conseguenze emodinamiche sono alquanto complesse, e provocate dal passaggio del sangue dall’aorta alla polmonare (shunt sinistro-destro, la forma più comune). È sempre presente, in questo caso, un soffio cardiaco che ci facilita nell’identificazione dei soggetti malati che vanno, in condizioni ideali, trattati al più presto. L’intervento consiste nella chiusura del dotto pervio, e può essere eseguito sia mediante chirurgia tradizionale sia mediante cardiologia interventistica; in questo caso, il dotto viene chiuso tramite l’introduzione di un apposito dispositivo (una sorta di tappo) ancora una volta grazie all’utilizzo di appositi cateteri e quindi senza la necessità di aprire il torace dell’animale. Al termine di questa lunga descrizione, dovrebbe apparire in maniera evidente la necessità di identificare precocemente un animale malato, sia perché questo potrebbe consentirne una terapia maggiormente efficace, sia per evitare la trasmissione alla prole di un problema genetico qualora l’animale colpito sia un riproduttore. Alla base di una diagnosi precoce sta naturalmente un’accurata visita veterinaria, soprattutto qualora sia presente un soffio cardiaco (ad esempio in caso di stenosi subartica, stenosi polmonare, dotto arterioso pervio, insufficienza mitralica), ma l’esame ecocardiografico appare ad oggi insostituibile nella corretta diagnosi e stadiazione, soprattutto nel caso di malattie che possono comportare scarsi o nulli rilievi clinici (ad esempio miocardiopatia dilatativa preclicnica e miocardiopatia ipertrofica). A questo scopo, negli anni si è cercato di sensibilizzare i proprietari di cani, qualora ve ne siano le indicazioni, ad effettuare gli opportuni accertamenti, ed il riscontro complessivamente è stato positivo. Oggi è molto probabile, infatti, che il proprietario di un cane con un soffio cardiaco acconsenta a sottoporre il proprio animale ad una visita cardiologica completa e ad esame ecocardiografico, anziché limitarsi a fare una radiografia toracica e ad impostare una terapia standard. La maggior raffinatezza degli esami che abbiamo a disposizione, unitamente alla disponibilità del proprietario e alla maggiore preparazione dei medici veterinari in campo cardiologico, hanno fatto si che anche il decorso delle cardiopatie e la loro prognosi possa, sovente, apparire molto migliore di quanto sarebbe stato solo fino a pochi anni fa. Questa affermazione presenta una importanza del tutto particolare quando riferita al controllo delle cardiopatie congenite. Come sappiamo, per molte di queste patologie è ormai dimostrata l’origine ereditaria, e quindi la possibilità di trasmetterle da un soggetto malato (o anche solo portatore) alla prole (ad esempio stenosi aortica e dotto arterioso pervio). Numerosi allevatori ed, in alcune circostanze, alcune Associazioni di razza hanno, negli anni, deciso di fare un tentativo per escludere dalla riproduzione soggetti portatori di cardiopatia. I risultati sono in alcuni casi piuttosto eclatanti, come ad esempio la marcata riduzione dell’incidenza di stenosi aortica e polmonare nella razza Boxer. Questo risultato è stato ottenuto sottoponendo gli animali ad esame ecocardiografico al raggiungimento dello sviluppo definitivo (un anno di vita), ed escludendo dalla riproduzione i soggetti con alterazioni ecocardiografiche significative. Il risultato è particolarmente apprezzabile in questa razza soprattutto perché si tratta di una di quelle che per prime hanno deciso di sottoporre i propri animali al controllo, ma non è l’unico.
Se diagnosticare una stenosi aortica o polmonare può essere, per un operatore esperto, quasi sempre relativamente facile, diversa è la situazione per quello che riguarda la miocardiopatia dilatativa. In questo caso, infatti, un soggetto predisposto potrebbe non sviluppare patologia conclamata anche per molti anni, e quindi un esame con esito negativo effettuato ad un anno di vita non è sufficiente per dichiarare esente da patologia il cane in questione, che dovrà essere quindi ricontrollato annualmente alla ricerca di eventuali indicatori precoci di malattia. Non sempre, dunque, è semplice ottenere l’obiettivo prefissato, ma la possibilità di ridurre l’incidenza di gravi malattie nelle nostre razze preferite dovrebbe funzionare da sprone allo scopo di ottenere il risultato desiderato. Anche la razza Rhodesian Ridgeback, in alcuni paesi esteri, è soggetta a controlli cardiologici: negli Stati Uniti, ad esempio, uno studio condotto dal 1996 ad oggi ha permesso di identificare le patologie ereditarie che interessano questa razza. Tra quelle di interesse cardiologico, vengono menzionate la stenosi subaortica, la stenosi polmonare, la miocardiopatia dilatativa e la persistenza dell’arco aortico di destra. Identificare i soggetti portatori di queste patologie potrebbe quindi consentire di ridurre al minimo la loro diffusione alle generazioni future.
Anche in Italia sono in corso studi di questo tipo, che saranno quanto più possibile standardizzati e coordinati da un Osservatorio delle malattie cardiovascolari del cane e del gatto, che nasce proprio con lo scopo di monitorare le principali malattie che colpiscono i nostri animali e di valutare la distribuzione territoriale e di razza. Le informazioni raccolte, al di là del loro puro valore scientifico, dovranno poi servire per promuovere la ricerca e, in collaborazione con le istituzioni e le associazioni, tentare di controllare la diffusione delle cardiopatie con base genetica. L’Osservatorio, che nella sua forma definitiva sta finendo di essere costituito proprio in questo periodo, si avvarrà dei servizi offerti da veterinari cardiologi abilitati e diffusi nella maggior parte del territorio nazionale.
Le cardiopatie nei nostri animali sono numerose, piuttosto diffuse, e spesso influenzano anche pesantemente la qualità di vita dei nostri amici. Gli strumenti, diagnostici e terapeutici, di cui oggi disponiamo possono però consentirci un adeguato controllo della malattia in questione sia con approccio puramente medico e sia, in alcune circostanze, con approcci chirurgici o interventistici. I risultati sono frequentemente molto validi in termini di prolungamento delle aspettative di vita e di miglioramento delle qualità della vita dei soggetti malati, soprattutto nel caso in cui si possa disporre di una diagnosi precoce. Se esiste il sospetto che il nostro beniamino sia affetto da un qualsiasi tipo di cardiopatia, è quindi bene, se possibile, affrontare gli accertamenti più adatti al fine di ottenere una diagnosi definitiva; nel caso sfortunato in cui i sospetti vengano confermati, occorre poi affrontare la situazione nel migliore di modi, ricordando che molte patologie al giorno d’oggi possono venire controllate in misura molto efficace, assicurando agli animali malati ancora lunghi periodi spensierati di benessere in compagnia dei loro proprietari.
Associazione Specializzata
di Razza riconosciuta dall’Ente
Nazionale della Cinofilia Italiana
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Rhodesian Ridgeback Club d’Italia ©2022 – Sede legale: c/o ENCI – V.le Corsica, 20 – 20137 Milano – C.F. 97209800156
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